Il karma, il concetto buddista di retribuzione per le azioni fatte e le conseguenze di queste azioni, ha una forte influenza sulle produzioni artistiche asiatiche. La reincarnazione è un sistema di migrazione delle anime, che permette loro di passare da un corpo all’altro quando il primo ha raggiunto i suoi limiti. Secondo le azioni perpetrate, dette buone o cattive nella sua vita presente, l’individuo possiederà, nella sua vita futura, un corpo, una comodità e una ricchezza coerente con ciò che ha fatto di buono o di cattivo. Per esempio, un serial killer psicopatico avrà molte più possibilità di reincarnarsi in uno scarafaggio che in un uomo/donna influente e ricco. Il karma rappresenta quindi questo equilibrio di azioni buone/cattive, alcune azioni portano più punti di karma buoni di altre (a seconda delle culture e delle correnti religiose). Visibile in un buon numero di opere audiovisive provenienti da aree culturali asiatiche, la reincarnazione/retribuzione diventa la chiave di volta di scenari, a volte spaventosi, tanto la portata di questa credenza ha una dimensione capitale nelle culture buddiste. Ci meritiamo quello che siamo e quello che ci succede a causa del nostro karma. I personaggi in scena che sono allora sottomessi alla legge del karma non hanno nessuna via d’uscita esterna, nessuna fuga è possibile. Al contrario, spesso spinge i protagonisti ad agire, a far girare la ruota nella giusta direzione, compiendo buone azioni o con la necessità di finire le cose per risolvere una storia del passato e cominciare a vivere la sua vita presente.
Nel film thailandese Ghost Coins (Tiwa Moeithaisong, 2014), lo spettatore segue la storia di quattro giovani, tre ragazzi e una ragazza, che vanno a dissotterrare un corpo morto per avere lo spavento della loro vita. Una volta immerso nella giungla e pronto a dissotterrare il morto (che ha una moneta in bocca), accadono cose strane. Visioni, illusioni ed epoche differente si intrecceranno poi per perdere i personaggi, non solo nella vasta giungla tropicale ma anche dentro se stessi, alla ricerca della loro vera e passata identità. Poiché non è certo per caso che sono stati spinti in questa foresta, scopriranno le loro vite passate e dovranno lottare contro il loro cattivo karma, allo stesso tempo schiavi delle loro anime ma anche distinti dalle loro vite passate dai loro nuovi corpi, dalle loro vite moderne e dai loro nuovi e contemporanei modi di pensare.
In Reincarnation/Rinne (2005) di Takashi Shimizu, vediamo lo stesso fenomeno. Una giovane attrice gira un film in un vecchio edificio abbandonato, la cui sceneggiatura è tratta da un dramma reale che si suppone abbia avuto luogo lì. Molto rapidamente, la finzione, il presente e i ricordi di una vita passata si mescolano e rendono il lavoro della giovane attrice sempre più difficile. Ancora una volta, tra follia e reincarnazione, lo spettatore dovrà scegliere il suo punto di vista.
(Reincarnation/Rinne,Takashi Shimizu, 2005)
Nel lungometraggio Retribution (2007) di Kiyoshi Kurosawa, la sceneggiatura porta lo spettatore a credere che ci possa essere un forte legame da una vita precedente che unisce il protagonista principale con la signora in rosso, un fantasma scomodo. Capiremo finalmente che il karma e l’influenza delle conseguenze delle proprie azioni non provengono sempre da una vita precedente ma che basta uno sguardo scambiato durante l’infanzia per legare due esseri con il filo rosso del destino. La ruota del karma appare allora come molto presente nella vita quotidiana e in tutte le scelte che ci vengono offerte.

Il karma non si ferma alla reincarnazione, poiché l’anima di una persona morta in grande sofferenza, avendo un forte desiderio di vendetta e non potendo dimenticare i suoi desideri materiali, può diventare uno spirito pericoloso. Questo è in particolare il caso degli onryo giapponesi (spiriti vendicativi che si possono vedere nel Ju-on, nelle saghe di Ring e nella maggior parte degli yûrei-eiga giapponesi) o dei phii thailandesi (spiriti del folklore thailandese, alcuni dei quali nascono da anime umane o sono spiriti degli uomini). Il phii più famoso nel cinema è il nang mai, uno spirito femminile degli alberi che viene rappresentato in Nang Mai/La Ninfa (di Pen-ek Ratanaruang, uscito nel 2009 e presentato nella categoria Un Certain Regard al Festival di Cannes 2009) come il fantasma di una donna che è stata rapita e uccisa ai piedi di un albero quando era umana. Incapace di reincarnarsi, questo cattivo karma continua a perseguitare il luogo dove è morta.

Navigando sul crescente interesse delle culture occidentali per questo sistema di pensiero buddista o New Age, sono uscite anche produzioni americane che trattano questo argomento. Questo è in particolare il caso di I Origins (Mike Cahill, 2014), The Fountain (Darren Aronofsky, 2006) e infine il sublime Cloud Atlas (2012) dei Wachowski e Tom Tykwer.

Tradotto dal francese da Corneille Bungunye
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