David Lynch è nato nel 1946 nel Montana. Anche se la sua infanzia è tradizionale: vita tranquilla, perfetto piccolo scout, egli trova nell’erba verde dei suoi vicini, storie più affascinante le une che le altre. Spesso portato in viaggio da suo padre grazie al suo lavoro di agricoltore, inventa luoghi e mondi incredibili. La sua giovinezza sarà una grande fonte di ispirazione per le sue opere future. Durante l’adolescenza, le sue frequentazione lo spingono a creare un’arte terrificante dalle storie che gli vengono raccontate. Grande appassionato di pittura, ritrae le sue paure e i suoi incubi, prima di trascriverli sullo schermo. Questo lo ha portato alla creazione di cortometraggi inquietanti e surreali come The Grandmother nel 1970 e The Amputee nel 1974.
Nel 1977, presenta il suo primo lungometraggio: Eraserhead. È qui che inizia il suo viaggio onirico. Oltre all’intensa paura della paternità, la paranoia sembra aver preso pieno possesso di Henry Spencer, il protagonista, portandolo a fuggire da questa vita insipida.

Dopo aver diretto Elephant Man nel 1980 e Dune nel 1984, che erano più lontani dalla sua immaginazione, ha prodotto opere disorientante e piene di simbolismo. Tra i tanti temi che compongono il mito « lynchiano », quello del bene e del male è spesso presente.
In Blue Velvet, uscito nel 1986, dove dirige Dennis Hoper e Isabelle Rosselini, l’ipotesi che il male esista in questa città americana è illustrata da una scena mitica, quella di un orecchio nascosto sotto l’erba verde di un giardino. È ovvio che il giovane Jeffrey, interpretato da Kyle MacLachlan, è rappresentato come lo specchio della giovinezza del regista: il protagonista si annoia nella sua vita tranquilla e poi si trova trascinato in un mondo di droga, prostituzione e corruzione che non sospettava. Attraverso tutto questo, Blue Velvet è portato da un voyeurismo dove il personaggio di Jeffrey può passare dalla bellezza (attraverso il personaggio di Dorothy Vallens) al horror (quello di Frank Booth) in pochi minuti. Molto più di una classica indagine di polizia, questa è soprattutto un’indagine psicologica che sfida tutti i divieti. Capiamo allora che la verità nascosta è molto più complicata di quanto sembri. Blue Velvet appare come un film perfettamente orchestrato e aiuterà inoltre David Lynch a creare questo universo cinematografico che gli conosciamo bene.

Dopo aver interpretato la giovane donna perfetta in Blue Velvet, a Laura Dern fu offerto un ruolo iconico in Sailor and Lula nel 1990, dove si ritrova incinta del bel teppista Sailor, interpretato da Nicolas Cage. Insieme scappano e approdano in California con furti e truffe. Oltre ad avere un casting maestoso con attori già confermati come Nicolas Cage o Willem Dafoe, Sailor and Lula sfrutta i cliché americani per creare un’atmosfera atipica e totalmente folle. In quest’opera, sia comica che drammatica, ritrae la perversione americana che non smetterà mai di mostrare durante tutta la sua carriera. Siamo allora presi da questo viaggio, a volte infernale, a volte celeste, tra amore e odio.

Ma è senza dubbio con l’universo di Twin Peaks che è nata la firma emblematica di David Lynch, anche se non ha cessato di amplificarsi dopo Blue Velvet. Allo stesso tempo realizzato per il cinema, con Twin Peaks: Fire Walk with Me nel 1992 e Mysteries in Twin Peaks nel 1990 per la televisione, Twin Peaks rimarrà l’opera preferita dei fan del regista ma certamente la più incomprensibile. È qui che nasce il tema del « doppelgänger » o doppio malvagio.

Come nei suoi film precedenti, si tratta di una gentile America, in cui Laura Palmer, interpretata da Shery Lee, una bella giovane donna senza storia e apprezzata da tutti, viene assassinata. Ma andando avanti, in quest’opera corale, lo spettatore scopre i pesanti segreti degli abitanti di Twin Peaks dove il male si aggira dietro l’angolo. Più si avanza in queste due opere e più lo spettatore si trova chiuso in un incubo in cui a volte è difficile svegliarsi. Senza dubbio i personaggi indossano una maschera, a volte tragica, a volte diabolica, che è difficile da togliere. È in Twin Peaks che lo stile onirico dell’autore raggiunge il suo apice. Tra sogno e realtà, ci accompagna in un mondo cinico e confuso. David Lynch riesce così a rendere lo spettatore ossessivo, in una ricerca della verità che, come mostra nell’ultima stagione di Twin Peaks del 2017, non è mai veramente assoluta.
Due altre opere meritano di essere ricordate per capire la codificazione di questo cinema. Il primo, Mullholand Drive del 2001, che riprende gli stessi temi dei film precedenti del regista, cioè la ricerca del sogno americano, le false pretese e la schizofrenia. Oltre al suo lato enigmatico, che spinge lo spettatore a guardare l’opera più volte (proprio come in Twin Peaks), Mullholand Drive è costruito come un puzzle dove bisogna mettere ogni pezzo al posto giusto. Non è una cosa facile, ma diventa familiare quando si conosce il cinema di David Lynch. Qui il male è senza dubbio a Hollywood. Sarebbe forse un riflesso del percorso cinematografico del regista, che non ha mai veramente seguito la convenzionalità di questo grande mondo artistico pieno di complessità e di inganni. Ma è senza dubbio con Lost Highway del 1997 che questa nozione del bene e del male si accentua. David Lynch mostra fino a che punto il cervello umano può ammalarsi al punto di ricreare un universo inquietante. In quest’opera oscura e poco lineare, la follia dei personaggi mostra quanto sia difficile a volte mantenere il controllo della propria vita, dove il male può finalmente trovarsi dentro di se.


Non c’è dubbio che il cinema di David Lynch sia uno dei più enigmatici del cinema americano. Attraverso questa concezione del bene e del male, mette in atto tutto un processo speculare per lo spettatore che, come essere umano, deve affrontare la propria coscienza.
Tradotto dal francese da Corneille Bunguye
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