Cosa avete fatto a Solange? Un giallo dai giochi proibiti

Adattamento indiretto del romanzo di Egar Wallace del 1918 “The Clue of the New Pin”, Cosa avete fatto a Solange? racconta la storia di un collegio cattolico di Londra, dove una prima ragazza viene ritrovata brutalmente assassinata. Un insegnante italiano, che era vicino alla scena del crimine in quel momento, è considerato come il sospettato ideale e deve convincere la gente della sua innocenza per trovare il vero colpevole.

Siamo nel 1972, un periodo fiorente per il Giallo. Questo genere, iniziato da Mario Bava, cede il passo a opere più sensuali, formando un sottogenere, il thrilling, mescolando omicidio ed erotismo. Opere più intimiste, che cercano di capire il processo psicologico che porterebbe l’assassino a commettere i suoi crimini. All’inizio del decennio, Dario Argento ci propone la sua trilogia animale con L’Uccello dalla Piuma di Cristallo nel 1970 poi Il gatto a nove code e Quattro mosche di velluto grigio nel 1971. Ma è un’altra opera che si distingue dai suoi colleghi.

Massimo Dallamano deve l’inizio della sua carriera a Sergio Leone, che gli offrì il posto di direttore della fotografia per i suoi western-spaghetti Per un pugno di dollari nel 1964 e Per qualche dollaro in più nel 1965. Anche se la sua filmografia si basa principalmente su opere controverse, come La morte non ha sesso del 1968 e Il dio chiamato Dorian del 1970, ha inaugurato questo sottogenere del Giallo con Cosa avete fatto a Solange?, titolo originale del 1972, raccogliendo i codici di questo movimento, senza cadere nei cliché. Anche se la sua carriera in questo genere più poliziesco si ferma rapidamente dopo la sua morte prematura all’età di 54 anni in un incidente stradale, è con Joe D’Amato, anche lui un regista italiano controverso del suo tempo, che creano questa opera atipica.

Tutto inizia con un gioco di false piste. L’insegnante italiano Enrico Rosseni, interpretato da Fabio Testi (star del cinema italiano degli anni ’70), dall’aspetto di un gentiluomo, bello e seducente, non è più soddisfatto della sua monotona relazione con la moglie, per la quale non prova più alcun desiderio, e così ha una relazione nascosta con la sua studentessa Elizabeth.

Dubitando delle parole della sua amante, che crede di aver assistito a un omicidio, decide di andare sulla scena del crimine e accidentalmente fa cadere la sua penna. Viene quindi sospettato, ma confessare la sua presenza sulla scena metterebbe in pericolo la sua carriera, se si venisse a sapere la verità.

Come in ogni giallo, la traccia del falso sospetto è ciò che costruisce l’intera narrazione, l’assassino appare molto poco o mostra solo una parte del suo corpo, come di solito le sue mani guantate di pelle nera. E molto spesso, la scoperta dell’assassino si rivela sorprendente, e qui non si sfugge alla regola.

Ma ciò che differenzia questo film dagli altri gialli del suo tempo sono senza dubbio i temi affrontati. Tra i tabù e la liberazione sessuale di fine anni ’60 e inizio anni ’70, le scene sordide e crude degli omicidi, così come la sensazione di voyeurismo in cui sono annegati sia i personaggi che lo spettatore, permettono di dare spazio alla prima attenzione dell’opera di Dallamano, ovvero la denuncia di gravi problemi. L’evoluzione della morale che scuote la società dell’epoca, permette all’opera di apparire come uno specchio. Una riflessione che vediamo metaforicamente attraverso la lama del coltello del serial killer, dilagante in questo collegio di giovani ragazze cattoliche, pieno di pesanti segreti tra religione, misoginia e divieti. Oltre a un’estetica fantasticando le scene soggettive, a volte crudeli, la narrazione è divinamente strutturata, tra momenti presenti e flashback, primi piani e scene più nascoste. Per quanto riguarda gli attori, sono una testimonianza di questa narrazione utile, senza eccessi, nonostante l’opinione di alcuni detrattori, e tenendo così in sospeso questo spettatore che è sconvolto da queste figure femminili e si impegna in una situazione talvolta perversa. Ma queste stesse figure femminili risultano essere il punto forte dell’opera. Tutte queste vittime hanno in comune una doppia vita, nella quale questa « Solange » sembra essere coinvolta, mettendo in discussione l’intero processo relazionale tra i personaggi.

Quest’ultima, interpretata da Camille Keaton (che sarà poi la protagonista del “rape and revenge” di Meir Zarchi, Sputo sulla tua tomba del 1978) e alla quale si deve il titolo di quest’opera, appare verso l’ultima parte del film, sconvolgendo l’intera trama e ribaltandola conducendola in un’atmosfera più drammatica, spiegando così le motivazioni del killer.

Un’atmosfera che viene sublimata dalla musica di Ennio Morricone che, con questo finale, permette di collocare Cosa avete fatto a Solange? nelle alte sfere del cinema giallo.

Tradotto dal francese da Corneille Bunguye

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